La gola di Pentumas
La valle di Lanaitho è considerata uno degli accessi più facili per il Supramonte, con la sua bellissima strada sterrata che arriva fin quasi a Tiscali e che permette di raggiungere tutte le gole e le vallate che vi si riversano.
Tra queste gole, la prima che percorsi con le corde ormai più di venticinque anni, fa è Badde Pentumas una lunga e stretta forra, pressoché fossile che scende da Sovana e solo molto di rado è bagnata da un torrente il Rio Su Boccaportu che esiste esclusivamente in occasione di forti precipitazioni.
Questa domenica sono tornato a Pentumas con Sara e un piccolissimo gruppo di amici, per percorrere l’omonima ferrata. Questo percorso si snoda lungo la cengia alta del grande anfiteatro di Pentumas e permette di uscire dal greto del torrente in riva destra, salendo poi in quota per arrivare alle creste sommitali della forra.
La ferrata di Pentumas (come del resto le 13 calate lungo la gola), è un grande classico dell’escursionismo qui a Lanaitho. Certo, adesso ci sono molti percorsi nuovi, relativamente facili e molto sicuri un po’ in tutta la Sardegna e quindi se ne parla un po’ meno, ma resta affascinante.
Io poi avevo un conto in sospeso. Il giorno di Capodanno di qualche anno fa infatti, siamo stati costretti ad abbandonare la ferrata a causa di un piccolo inconveniente e da allora non è più capitata l’occasione di ripeterla.
Occasione che si è ripresentata poche settimane fa, quando Costanzo un appassionato ed esperto escursionista mi ha proposto di farla.
Così ci siamo organizzati e grazie anche a un suo amico, Luca che c’era già stato diverse volte, abbiamo impiegato al meglio la nostra domenica mattina. Luca tra l’altro è un ottimo fotografo e ha firmato quasi tutti gli scatti di questo articolo.
La ferrata
La ferrata di Pentumas non è una ferrata moderna. Lo spirito con il quale è stata realizzata è diverso da quello dalle ferrate sportive che siamo abituati a vedere e percorrere qui in Sardegna. Per essere più chiari: non è e non assomiglia a un parco giochi, anzi è piuttosto rude e spartana, ma molto bella.
L’avvicinamento è piuttosto semplice, la gola di Pentumas ha le pareti molto ripide, quasi sempre verticali, quindi la direzione è obbligata. Si va a ritroso cioè a monte del torrente, seguendo i numerosi omini di pietra fino ad arrivare al grande anfiteatro, il maestoso catino di roccia, la cui cengia sarà oggetto del nostro percorso.
A questo punto guardando alla propria sinistra, si sale seguendo un passaggio abbastanza evidente fino ad arrivare in cima ad un accumulo di detriti, un punto sopraelevato dove notiamo la famosa scritta in verde K13 (la stessa che è presente al salto iniziale della gola e che indica il sentiero verso Punta Duavidda e Sovana).
Da li un leggerissimo cavo d’acciaio e un tronco di ginepro, aiutano la salita verso una cengia che sale verso destra con una pendenza molto accentuata, fino ad arrivare al primo tratto verticale.
Questo è costituito da pochi gradini in acciaio INOX, di cui uno però ballerino (il terzo mi pare) e tutti piuttosto distanti tra loro. I gradini sono affiancati da un sottile cavo d’acciaio. Finiti questi pochi gradini, tutto il tratto verticale si percorre su roccia, utilizzando esclusivamente appoggi ed appigli naturali. Finito anche il cavo, un sentiero abbastanza evidente su un tratto di terra smossa e obiettivamente scivolosa, conduce alla grande cengia che si sviluppa alla nostra sinistra, in leggera discesa.
Guardando la parete del canyon, con l’anfiteatro alle spalle, vediamo che alla nostra destra in alto, parte un’altra cengia, anch’essa protetta da un cavetto d’acciaio che corre in direzione ovest e quindi verso l’inizio della gola, si tratta del famoso sentiero dei pastori verso Sovana: s’istrada minore.
Di fronte a noi, tra le due cenge, un tratto verticale che con una breve e non difficile arrampicata (ma non protetta) conduce al pianoro sovrastante e quindi può essere utilizzato come via di fuga, come ho fatto io la volta precedente.
È chiaramente percepibile l’altezza rispetto al fondovalle e si vede il solco che il torrente nei millenni ha inciso nel calcare, siamo a circa 150 metri d’altezza, forse più. Inizia il cavo e si cammina a pochi cm da un impressionante verticale. Davanti a noi la cengia che dopo una sessantina di metri, si assottiglia fino a scomparire.
Da qui per un breve tratto si prosegue letteralmente appesi al cavo che è ancorato a delle normali placchette, non ai supporti che invece troviamo nelle nuove e moderne ferrate sportive. Piccoli generatori d’ansia in acciaio inox stampato, insomma.
Ma fin qui ero già arrivato la volta scorsa e conoscevo il trucco per passare senza dovermi appendere al cavo: circa trenta centimetri sotto il piano naturale della cengia, c’è un gradino longitudinale largo circa dieci centimetri che permette di passare senza stancarsi troppo.
Do uno sguardo di sotto per avere l’idea della posizione e aggiungere qualche goccia di sudore freddo.
Superati questi pochi metri, la cengia si riapre e procede in leggerissima salita, verso lo spigolo che per molti è la bestia nera di questo percorso. In un attimo sono li, mentre Costanzo sta per procedere e Luca che è già passato ci aspetta un po’ più su con la macchina fotografica.
Ho detto la bestia nera perché è il passaggio che ha creato l’inconveniente la volta scorsa. Questo spigolo sul vuoto, porta ad un traverso realizzato con una catena, ancorata in diversi punti e con alcuni (pochi) gradini in tondino di ferro da usarsi come appoggio.
Il problema è che il primo gradino a sinistra è molto lontano e si passa solo restando appesi alla catena, puntando i piedi sulla roccia verticale senza alcun appoggio visibile. Comunque, non è così difficile se si hanno scarpe adatte e le mie Salewa Wildfire si sono rivelate perfette.
Il traverso prosegue fino a una verticale di alcuni metri, una quindicina, con alcuni terrazzini strapiombanti, messi in fila lungo una fessura, questa poi assistita da pochissimi e distanti gradini in ferro.
Superato il primo terrazzino, la posizione alquanto scomoda in strapiombo mi ha fatto commettere un errore.
Si tratta di un passaggio delicato, da superare usando un po’ di tecnica, io invece volevo passare di forza, così che mi sono trovato dopo un po’ a penzolare nel vuoto appeso alle longe per riposare le braccia “ghisate”.
Un po’ di respiro affannoso, ma dopo un minuto di relativo relax, ho spinto sulle gambe e Costanzo che mi precedeva, mi ha dato una mano a moschettonare in un punto della catena un po’ più comodo.
Da li in poi la verticale si supera abbastanza agevolmente.
Nei pochi metri che restano alla fine della ferrata, si affronta uno spettacolare traverso, con poco appoggio per i piedi, ma ottimi appigli per le mani, protetto stavolta da un cavo e si arriva così all’ultimo tratto verticale.
Una catena porta fuori dalla gola, passando accanto ad un albero cresciuto proprio dentro la fessura: un ottimo appiglio per agevolare l’uscita.
In questo tratto ci sono solo due gradini e la progressione è tutta su roccia, la catena serve solo per assicurazione.
Si esce infine su un piccolo spazio tra i campi solcati, con gli omini che indicano il percorso per il rientro: verso sud seguendo in parte la cresta e poi verso est a scendere.
In ogni caso si intercetta il sentiero, dapprima quasi invisibile e poi sempre più netto che riporta all’ingresso della gola oltre duecento metri più in basso.
Ci siamo divertiti e abbiamo goduto di una vista spettacolare, io come sempre ho sudato un po’ freddo in alcuni passaggi, ma sono soddisfatto.
Molte delle foto di questa uscita sono di Luca Manca e le trovate sul suo album Flickr a questo link: http://www.flickr.com/photos/lucamanca/albums .
Considerazioni finali
La ferrata di Pentumas non è per tutti. Non è difficile, ma ha un paio di passaggi che possono mettere in imbarazzo, tanto è vero che spesso il primo agevola il superamento del passaggio chiave con una corda calata dall’alto. Un altro punto poco simpatico è il tratto terroso prima della cengia, che ovviamente è franoso e fa andare giù pietre di varie dimensioni, anche grosse.
Ciò che la rende davvero diversa, è l’attrezzamento molto, molto, spartano. Il cavo è molto più sottile di quelli ai quali siamo abituati e inoltre non c’è mai continuità tra le varie sezioni. I terminali sono abbastanza sottili da passare attraverso i moschettoni da ferrata, quindi in caso di fuoriuscita o rottura di un ancoraggio terminale sarebbe davvero molto pericoloso.
La catena è fissata con placchette standard e maglie rapide, ma ci sono anche alcune placchette “artigianali” che a vederle fanno un po’ impressione. I gradini, oltre a essere davvero molto pochi e molto distanti, sono un po’ esili, diciamo e alcuni un po’ deformati.
In verità comunque, io non mi sono mai sentito insicuro.
Però, a differenza di altri posti, dove abbiamo gradini in acciaio inox nervato da 16/18 mm, qui abbiamo ferri da 8 mm. E anziché cavo inox da 10 mm, abbiamo cavo da 6 o da 8 mm su placchette, anziché su fittoni inox con morsetto. Roba insomma, d’altri tempi.
La cosa da tenere a mente quindi è che NON siamo in un parco giochi e che qui NON si fanno le scale a pioli, ma qui si arrampica su roccia vera, per cui quando dico che non è per tutti intendo quello. Qui a Pentumas insomma, non si fanno i selfie appesi ai cavi come accade in altri posti.