La osservavamo da tempo, diversi mesi, io anche di più, perché da ragazzo tra amici si andava anche a San Pantaleo ad arrampicare, allora eravamo ragazzi un po’ spericolati, senza tecnica e senza paura.
Non molto tempo fa avevo visto le foto di Francesco Angioni e poi negli ultimi mesi quelle dei gruppi di Antonello Azara, Corrado Conca ed altri che si sono susseguiti con immagini spettacolari di quella che molti definiscono erroneamente la “bocca dello squalo“. In realtà i proprietari dello stazzo Li Pinnitteddhi,; quello che sta sotto, l’hanno sempre chiamata: la Conca Manna! Chi la chiama, la bocca dello squalo, fa riferimento ad una via trad, aperta negli anni 80 che, guardando a valle, sale sulle pareti di sinistra del grottone
Esattamente una settimana fa a Monte Moro, eravamo in procinto di fare un po’ di allenamento su alcune belle vie di arrampicata e per caso abbiamo incontrato Angelo Azara durante una delle sue esplorazioni in mountain bike. Angelo insieme al fratello Antonello è uno degli artefici di queste bellissime vie di arrampicata sul granito ma anche uno di quelli che si sono prodigati per mantenere in efficienza il percorso di Scala Mpedrada.
Ci si conosceva di nome ma, come ci è capitato anche con altri personaggi noti dell’outdoor in Sardegna non ci eravamo mai incontrati di persona. Sono bastati pochi minuti e in una rapida chiacchierata sono saltate fuori amicizie, luoghi e persone in comune e le informazioni che ci mancavano per raggiungere davvero l’obiettivo che ci eravamo prefissi.
La mattina di sabato abbiamo effettuato un check della attrezzatura, caricato gli zaini in macchina e dopo una provvidenziale sosta per fare riformimento d’acqua alla fontana di San Pantaleo abbiamo parcheggiato allo Stazzu Manzoni, ricontrollato zaini ed equipaggiamento ed abbiamo imboccato il sentiero alle ore 10:00.
L’avvicinamento è tutto in salita, a tratti dentro un bosco molto bello, si raggiungono di tanto in tanto le piazzole dei carbonai e man mano che si sale, nei punti fuori dal bosco inizia lo spettacolo che poi si presenterà una volta arrivati in cima.
Finito il sentiero si prosegue su un canalone seguendo le “bamboline” di pietra alternando salite ripide a vere e proprie (ma facili) arrampicate, fino al punto in cui delle corde fisse guidano verso la vetta.
Qui inizia la parte davvero divertente di tutta la storia: un susseguirsi di calate molto serrato dove l’arrivo di una è l’inizio della successiva, interrotto solo dalla sosta nel tafone e dal canalone successivo. Tutte le calate sono cieche, il primo che scende vede la sosta solo all’ultimo momento e questo rende tutto molto più emozionante.
Proprio al primo salto che è più corto degli altri, Sara ha superato la sosta è ed quindi dovuta risalire in aderenza per diversi metri. Scendeva in corda doppia e ha dovuto fare una chiave di bloccaggio sul discensore e pian piano risalire recuperando corda. In questo caso sarebbe stata più agevole una discesa in singola, anche sbloccabile, come facciamo in torrentismo, che all’occorenza rende più semplice realizzare un paranco e recuperare dall’alto.
Io che nel frattempo stavo all’armo invece, ho visto volare giù il mio Citizen Promaster Aqualand II, si è rotto un perno del bracciale e non è stato possibile recuperarlo, chi lo dovesse trovare anche se rotto sarebbe gentile se me lo facesse riavere: era un ricordo.
Dopo aver lasciato due righe sul libro di via siamo ripartiti e qui sono sceso io per primo, che poi è la condizione che preferisco, stare all’armo mi mette sempre un po’ d’ansia ma è anche giusto ricoprire tutti i ruoli se si vuole migliorare. Anche qui salti ciechi perché essendo poggiati il granito forma quella classica pancia che non ti fa vedere davvero cosa c’è sotto finché non sei arrivato e cavolo sembrava quasi che potesse non bastare la corda, per fortuna era solo una impressione: arriva giusta giusta.
Dopo il sesto salto abbiamo un tratto evitabile con una discesa guidata che però essendo noi solo in due non aveva molto senso realizzare. Di conseguenza abbiamo affrontato un breve tratto esposto e non protetto per arrivare al traverso con cavo di acciaio, il cavo è piuttosto lasco ma il fattore di caduta è sostanzialmente zero perchè si viaggia appesi al cavo, per cui in caso di scivolata l’assorbimento è garantito. Per il passaggio degli ancoraggi, come si vede anche dalle foto noi avevamo doppie longe che solitamente usiamo nel torrentismo, il dissipatore che usiamo nelle ferrate non serve in questo caso.
Finito il traverso si sfrutta una corda fissa per arrivare ad un tafone (piu piccolo) e poi noi abbiamo proseguito seguendo le bamboline fino al sentiero per il ritorno.
Man mano che scendevamo però vedevo la parete a fianco a me e mi rendevo conto che ci mancavano tre calate, che si raggiungono con una arrampicata a destra del tafone dove finisce la corda fissa. le faremo la prossima volta.
Come spesso facciamo abbiamo voluto riassumere in una breve scheda le informazioni essenziali, bisogna poi ricordare che si tratta di un percorso non facile che richiede l’uso delle corde e adeguata conoscenza delle tecniche di progressione su roccia. Se non si hanno queste competenze ma si vuole fare lo stesso questa esperienza è indispensabile rivolgersi a guide competenti, qualche nome lo abbiamo anche fatto prima.
Eccoci quindi arrivati a indicazioni e raccomandazioni:
Grado di difficoltà EEA
Abbiamo raggiunto la cima dopo circa 2 h di percorrenza di cui la buona parte su sentiero. Dopo si prosegue con una facile arrampicata in alcuni tratti attrezzata da mancorrenti.
Molto importante se si affronta d’estate portare acqua e barrette o altro cibo.
La discesa è frazionata in 9 calate ed è sufficiente una corda da 70 m se si hanno due corde alcuni salti si possono unire.
Il primo salto (n.9) lo si raggiunge da una piccola teleferica (ma proprio piccola 2m ) su cavo d’acciaio, dopo una piccola discesa attrezzata su corda fissa.
Il punto in cui arriva il cavo è una lama di granito sulla quale si sta comodamente a cavalcioni. Da li con tutta calma si prepara la discesa e soprattutto si gode un panorama indimenticabile. Attenzione alla discesa, controllare sempre bene mentre scendete dove sono posizionati gli armi (in genere alla vostra destra rispetto alla verticale).
Il terso salto è nel vuoto! Sul tafone (n.7) circa 18 m, il tafone ha un altezza complessiva di circa 30 m.
Dal tafone si affrontano altri due salti sempre ciechi, cioè non si vede la sosta fino all’ultimo momento e volendo si possono anche unire se si dispone di due corde da almeno 60 m. Poi ci si trova dentro un canalone evitabile allestendo una discesa guidata, oppure come abbiamo fatto noi che eravamo solo in due, proseguendo con molta attenzione perché vi sono punti esposti non protetti e si arriva ad un lungo traverso su cavo d’acciao.
Dopo l’ultima corda fissa vi sono due opzioni, scendendo dritti si affronta il sentiero del ritorno oppure una piccola arrampicata sulla destra porta agli ultimi 3 salti che riportano al sentiero.
Le calate da 30 m circa sono 6, i salti in totale 9.
Percorrenza totale, tenendo conto di alcune imprecisioni del GPS che in alcuni casi ha perso il segnale, circa 6 km A/R dallo Stazzo Manzoni.
Non dimenticatevi di lasciare la vostra firma sul libro di via sistemato all’interno del tafone, dove tra le altre troverete anche interessanti informazioni su chi ha attrezzato questo bellissimo percorso.
E per finire un po’ di foto e il video della discesa nel tafone, che speriamo rendano l’idea di quali emozioni si possono provare sul granito Gallurese.